Posto che l'interruzione dell'usucapione può aversi solo con la perdita ultrannuale del possesso ovvero con la proposizione di apposita domanda giudiziale e che, sino all'entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, "risultava radicalmente preclusa, da parte del destinatario dell'occupazione preordinata all'esproprio, l'azione di restitutio in integrum, qualificando l'occupazione acquisitiva più che un mero fatto illecito, una vera e propria "fattispecie ablatoria seppur atipica", allora a tutto concedere (alla stregua dell'art. 2935 c.c. - secondo cui la prescrizione decorre "dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere") il dies a quo di un possibile possesso utile a fini di usucapione non potrebbe che individuarsi a partire dall'entrata in vigore del d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, (l'art. 43 ivi contenuto, come è noto, aveva sancito il superamento normativo dell'istituto dell'occupazione acquisitiva).
L'occupazione illegittima di un fondo da parte della P.A. e la conseguente trasformazione di un bene privato, al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante ex art. 42 bis cit., costituisce illecito permanente e non è idonea ad integrare il requisito del possesso utile ai fini dell'usucapione, rischiandosi altrimenti di reintrodurre nell'ordinamento interno forme di espropriazione indiretta o larvata, in violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale della Cedu. Ciò è confermato sia dal rilievo della capacità di diritto privato della P.A., il cui corollario è la soggezione della stessa alle conseguenze ripristinatorie e risarcitorie previste dal diritto comune quando essa sia responsabile di illeciti, sia dalla tipicità dei modi con cui la P.A. può acquistare la proprietà dei beni nell'ambito del procedimento espropriativo. E sarebbe incongruo, in mancanza di alcun espresso referente normativo, che dall'esercizio illegittimo di poteri di imperio essa possa ricavare un utile, divenendo proprietaria del bene, senza erogare alcunché al privato spogliato.
La prova del possesso in capo all'usucapiente non può desumersi dalla mera incuria del proprietario, essendo invece necessario dimostrare anche l'esercizio del potere uti dominus da parte di chi proprietario non sia.
La mancata retrocessione del fondo occupato è una condotta che (quale che ne sia la ragione) si ricollega mediatamente al pregresso esercizio del potere espropriativo; l'eventuale usucapione della proprietà del fondo stesso, invece, ne è una conseguenza puramente occasionale. Tra quel potere e questo effetto intercorre di necessità l'interversio possessionis dalla detenzione qualificata al possesso dell'ente occupante. La cesura logico-giuridica tra due situazioni fattuali - quella iniziale presidiata dal provvedimento amministrativo e quella successiva innescata dalla possessio ad usucapionem - dà la misura della non derivazione in senso causale della seconda condotta dalla prima. I rispettivi accertamenti giudiziali - sugli effetti risarcitori e/o restitutori della mancata retrocessione e sull'usucapione della proprietà - seguono, pertanto, differenti regole di riparto giurisdizionale.
La condotta illecita dell'Amministrazione incidente sul diritto di proprietà non può comportare l'acquisizione del fondo e configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c.. Una compiuta usucapione può intervenire solo a condizione che sia effettivamente configurabile il carattere non violento della condotta, si possa individuare il momento esatto della interversio possesionis,si faccia decorrere la prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del T.U. espropriazioni (30 giugno 2003) perché solo l'art. 43 del medesimo testo unico ha sancito il superamento dell'istituto dell'occupazione acquisitiva e dunque solo da questo momento potrebbe ritenersi individuato, ex art. 2935 c.c., il "giorno in cui il diritto può essere fatto valere".
L'inserimento di un'area all'interno d'un piano particolareggiato di recupero, che ai sensi dell'art. 12 del D.P.R. 327/2001 equivale a dichiarazione di Pubblica utilità, e l'avviso ai sensi dell'art. 15 del DPR 327/2001 cit., per l'accesso ai terreni al fine della redazione degli elaborati espropriativi inerenti il progetto dell'opera, comportano riconoscimento della proprietà altrui e sono incompatibili con il possesso utile ad usucapire.
La proposizione di un giudizio di opposizione alla stima, quanto, soprattutto, la domanda di retrocessione dei beni già espropriati, costituiscono atti comportanti il riconoscimento del diritto del proprietario del bene, e, quindi, sono incompatibili con un possesso ad usucapionem.
Poichè la distinzione tra i beni pubblici ed i beni privati non discrimina due categorie concettuali di proprietà, ma soltanto due categorie giuridiche di beni, la prima delle quali presenta un peculiare regime giuridico, la Pubblica Amministrazione può usucapire il bene privato del quale per oltre un ventennio, nella erronea convinzione che fosse demaniale, abbia disposto la concessione in uso a terzi, atteso che, mentre l'errata supposizione di demanialità del bene non incide sulla volontà della P.A. di gestirlo "uti dominus", risolvendosi in un errore sul regime giuridico del bene irrilevante ai fini dell'usucapione, la concessione in uso a terzi costituisce uno dei modi di disposizione del bene e quindi di possesso dello stesso da parte dell'ente pubblico.
Potrà essere trascritto nei registri immobiliari l'accordo di mediazione che accerta l'usucapione, mediante la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
L'avvenuta usucapione ventennale del bene espropriato illegittimamente, è individuato quale limite temporale alla possibilità di intraprendere un'azione di risarcimento del danno da parte del privato; il possesso ventennale ininterrotto estingue non solo ogni sorta di tutela reale spettante al proprietario del fondo ma anche quelle obbligatorie tese al risarcimento dei danni subiti poiché retroagendo gli effetti della usucapione, quale acquisto a titolo originario, al momento dell'iniziale esercizio della relazione di fatto con il fondo altrui, «viene meno “ab origine” il connotato di illiceità del comportamento della P.A. che occupava “sine titulo” il bene poi usucapito.
E' a far data dal momento in cui l'occupazione diventa illegittima che si verifica un fatto idoneo a determinare l'interversione del possesso, prima operando in favore dell'Amministrazione una mera detenzione legale, inidonea ai fini della configurazione dell'animus rem sibi habendi, utile ai fini dell'usucapione.
Resta salva la facoltà per l'amministrazione convenuta dal proprietario del fondo sul quale insistono le opere installate sine titulo con azione reale e di risarcimento dei danni, di invocare - in via di domanda o eccezione riconvenzionale - l'acquisto per usucapione ventennale del diritto di servitù (nella specie servitù disciplinata dall'art. 233 D.P.R. 156/1973, applicabile ratione temporis, in materia di impianti di reti di comunicazione e di relativa servitù di passaggio con appoggio dei fili, cavi e impianti), il quale impedisce la restituzione.
In ipotesi di occupazione illegittima di area di proprietà privata, protratta oltre i termini previsti dalla legge e con conseguente realizzazione sulla stessa di un'opera pubblica al di fuori degli schemi di legittimo esercizio del potere pubblico, si è in presenza di un illecito permanente; non è pertanto ipotizzabile che il possesso dell'area da parte dell'Amministrazione sia valutabile come presupposto per usucapire l'area stessa.
Il Comune proprietario dei beni assegnati ai coltivatori diretti ne mantiene il possesso fino ad eventuali atti di interversione, con la conseguenza che può usucapire.
Deve ritenersi applicabile, anche nell'ipotesi di utilizzazione sine titulo, l'istituto dell'usucapione, proprio per la sua ratio diretta a rendere certa e stabile la proprietà. In sostanza, a decorrere dalla data di scadenza dell'occupazione legittima, deve ritenersi che il possesso del bene è utile ai fini dell'usucapione.
Il titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico può identificarsi non solo nella presenza di validi titoli pubblici o privati (es. convenzioni tra PA e privati) ma anche nell'acquisto per usucapione per decorso del termine ventennale ovvero nella protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile, la quale tuttavia deve essere rigorosamente dimostrata.
E' corretto negare che si sia verificata l'interversione del possesso fino a che il detentore continui a versare un canone per l'occupazione del suolo.