Il divieto contenuto nel cit. R.D. n. 523/04, art. 96, lett. f), ha carattere assoluto, come anche letteralmente previsto dal legislatore, al fine di assicurare il libero deflusso delle acque; un assoluto divieto previsto per tutte le acque pubbliche, comprese quindi quelle lacuali, come stabilito dal capo I R.D. n. 523/04, che nella sua rubrica stabilisce che le acque pubbliche soggette alla sua disciplina amministrativa sono quelle Dei fiumi, torrenti, laghi, rivi e colatori naturali.
I divieti di edificazione sanciti dall'art. 96 R.D. n. 523/04, (Testo unico delle leggi sulle opere idrauliche) sono informati alla ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali ovvero di assicurare il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici.
La questione del limite dell'alveo lacuale si risolve in un accertamento di fatto avente ad oggetto la quota raggiunta dalle piene ordinarie allo sbocco del lago secondo dati emergenti da rilevamenti costanti nel tempo, che siano idonei ad identificare la normale capacità del bacino idrografico, al di fuori di perturbamenti provocati da cause eccezionali; più precisamente deve considerarsi come quota raggiunta dalla piena ordinaria il livello massimo attinto dalle acque in un numero di anni talmente prevalente rispetto a quelli del residuo periodo (all'uopo sufficientemente lungo) preso in considerazione, da rappresentare la norma.
Il demanio lacuale, analogamente a quello marittimo, comprende l'alveo, cioè l'estensione che viene coperta dal bacino idrico con le piene ordinarie, e la spiaggia, vale a dire quei terreni contigui lasciati scoperti dalle acque nel loro volume ordinario, che risultano necessari e strumentali al soddisfacimento delle esigenze della collettività di accesso, sosta e transito (per trasporto, diporto, esercizio della pesca ecc.); e che, a tal fine, l'alveo deve essere determinato con riferimento alle piene ordinarie allo sbocco del lago e, quindi, mediante dati emergenti da rilevamenti costanti nel tempo, i quali siano idonei ad identificare la normale capacità del bacino idrografico, al di fuori di perturbamenti provocati da cause eccezionali e senza tener conto delle opere antropiche realizzate su detti terreni, le quali rimangono acquisite al demanio per accessione una volta accertata la demanialità dell'area su cui siano sorte.
L'obbligazione di bonifica e ripristino ambientale di un sito contaminato, e quindi anche se aree demaniali, grava unicamente sul responsabile dell'inquinamento, in virtù del principio di matrice eurounitaria chi inquina paga.
A norma dell'art. 2 del RD 25 luglio 1904 n. 523 (T.U. delle leggi sulle opere idrauliche), spetta soltanto alla P.A. competente in modo specifico al buon regime delle acque pubbliche di provvedere al rilascio di una concessione, ma per le costruzioni edili interessanti tali acque (moli, ponti, opere di presa e restituzione, dighe, canali, ecc.) la competenza autorizzativa alla realizzazione spetta al Comune secondo l'ordinario regime urbanistico-edilizio di cui al DPR 380/2001.
L'obbligo, anche di fonte convenzionale, di provvedere alla manutenzione e all'esercizio di una cosa di carattere complesso destinata ad essere utilizzata da diversi soggetti ed a tale scopo strutturata in varie parti, quale l'insieme delle opere appartenenti ad un Consorzio di irrigazione e di miglioramento fondiario, diramantesi in più condotte idriche sui fondi dei consorziati, comporta il dovere di vigilare e controllare che la cosa non arrechi danno a terzi e implica, ove ciò si verifichi, la responsabilità risarcitoria a carico del soggetto tenuto alla manutenzione e all'esercizio, a norma dell'art. 2051 cod. civ., senza che ad escludere la responsabilità a titolo di custodia rilevino di per se la localizzazione specifica del fatto dannoso nelle parti della cosa destinate, e necessarie, all'utilizzazione dei singoli aventi diritto ovvero gli eventuali accordi interni fra questi e il primo soggetto.
L'ipotesi secondo cui la necessità che anche per i "torrenti" sia necessaria l'iscrizione negli elenchi pubblici ai fini dell'operatività del vincolo di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 142, comma 1, lett. c), è superata dalla lettera della legge, la quale, mediante l'uso della virgola, riferisce la necessità dell'iscrizione ai soli "corsi d'acqua" e non anche ai "fiumi" ed ai "torrenti".
In materia distanze delle costruzioni dagli argini, il divieto previsto all'art. 96, lett. f), R.D. n. 523/1904 opera solo in assenza di una disciplina locale che, per derogare alla norma statale, deve condividerne la ratio e contenere una specifica regolamentazione delle distanze dagli argini esplicitando le condizioni locali e le esigenze di tutela delle acque e degli argini che giustifichino una distanza maggiore o minore di quella indicata dalla norma dell'art. 96.
L'espressione «acque pubbliche» deve essere intesa, utilizzando un criterio interpretativo di valorizzazione semantica dell'espressione, in modo da ricomprendervi corsi d'acqua che abbiamo una certa consistenza e che, in negativo, non possono ricomprendere, tra l'altro, mere raccolte di acque meteoriche.
I divieti di edificazione sanciti dal R.D. 523/1904, art. 96,Testo unico delle leggi sulle opere idrauliche, sono informati alla ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali ovvero di assicurare il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici.
In materia di distanze delle costruzioni dagli argini, i divieti di edificazione stabiliti dall'art. 96, R.D. 523/1904, sono informati alla ragione pubblicistica di assicurare non solo la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma soprattutto il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici, donde l'inderogabilità dell'osservanza dei relativi limiti prescritti.
È precluso alle regioni di intervenire con legge per escludere o circoscrivere l'ambito di operatività del piano di tutela delle acque disciplinato dagli artt. 95, 96 e 121 del d.lgs. n. 152 del 2006, giacché ciò comporterebbe l'elusione - totale o parziale - del vincolo della legge statale, espressione della competenza esclusiva in materia di tutela delle acque, funzionale alla garanzia delle esigenze unitarie cui è preordinata la individuazione degli obiettivi minimi di qualità ambientale per i corpi idrici.
Il R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 93 riconosce al proprietario del fondo la facoltà di estrarre ed utilizzare liberamente per gli usi domestici le acque sotterranee del suo fondo, ma tale facoltà presuppone che dette acque siano state scoperte e possedute dallo stesso proprietario e non già da un terzo che le utilizzi in via esclusiva da qualche tempo.
Le acque nere convogliate nelle fognature urbane non rientrano nel novero delle acque pubbliche elencate nel T.U. 11 dicembre 1933, n. 1175, art. 1, e la rete fognaria nella quale le acque medesime sono convogliate non può considerarsi opera pubblica, ai sensi del citato T.U., art. 140, lett. d), potendo acquisire tale connotazione le acque reflue e meteoriche soltanto a seguito di depurazione e cioè dopo il trattamento che ne elimini le impurità dannose ed inquinanti rendendole riutilizzabili come risorsa destinata all'impiego per usi umani.
L'indicazione di cui alla tabella 5, parte III, del D. Lgs. n. 152 del 2006, per le acque reflue urbane campioni medi ponderati nell'arco di 24 ore, non costituisce un criterio legale di valutazione della prova e può esser derogata - anche con campionamento istantaneo - in presenza di particolari esigenze individuate dall'organo di controllo, delle quali deve esser data motivazione.
Le acque - piovane e nere - convogliate nelle fognature non sono annoverabili tra le acque pubbliche, per difetto del fondamentale requisito, stabilito dal R.D. n. 1755 del 1933, art. 1, dell'attitudine ad usi di pubblico generale interesse, rimasto fermo anche dopo l'entrata in vigore della L. 5 gennaio 1994, n. 36; invero il D.P.R. 18 febbraio 1999, n. 238, art. 1 (regolamento recante norme per l'attuazione di talune disposizioni della citata L. n. 36, in materia di risorse idriche) conferma - per espressa esclusione - la non annoverabilità tra le acque pubbliche delle acque meteoriche refluenti nella rete fognaria, come tali destinate, insieme con i liquami pure ivi convogliati, al mero smaltimento, senza possibilità di sfruttamento a fini di pubblico generale interesse.
Le acque delle condotte idriche comunali sono destinate a soddisfare i bisogni idrici della popolazione del Comune; e tale caratteristica hanno assunto dopo essere state sottoposte a complessi procedimenti di potabilizzazione, che richiedono l'impiego di risorse rilevanti e un controllo costante della qualità. Per tale motivo non possono essere confuse con le acque "pubbliche" esistenti in natura, trattandosi di acque aventi valore economico, riferibili, dal punto di vista proprietario, ad un soggetto particolare.
Una grande e libera assemblea di uomini eminenti non può essere collocata al centro di una società senza modificarla. Deve migliorarla. (Walter Bagehot)